sabato 18 gennaio 2014

Una teologia "teologica"? - Una breve riflessione



Lo scorso secolo, come può ben testimoniare un valido testo di storia del pensiero teologico (ad esempio R. Gibellini, La teologia del XX secolo, Queriniana, Brescia), è stato un continuo susseguirsi di movimenti teologici e di forme di teologia. Se da un lato ciò testimonia una grande ed esuberante vitalità del pensiero, da un altro lato potrebbe essere preso come un dato storico su cui riflettere.

Nell'elenco delle teologie nate sulla scorta della prima grande reazione alla teologia liberale (teologia liberale che dominò il XIX secolo, influenzata ancora in parte da strascichi più o meno espliciti di Illuminismo, forse mai veramente sopiti nemmeno ai nostri giorni, e di Romanticismo), ovvero la teologia della crisi o teologia dialettica, si possono annoverare a titolo esemplificativo le seguenti, le quali in qualche modo o per contrasto o per collaborazione, hanno accompagnato il pensiero teologico fino alle porte del nuovo millennio: la teologia esistenziale e della demitologizzazione, la teologia della secolarizzazione, la teologia ermeneutica, la teologia femminista, la teologia della speranza, la teologia politica, la teologia della correlazione e della cultura, la teologia della liberazione fino ad arrivare a una teologia dell'ateismo.

Il denominatore comune di queste teologie è forse da ritrovarsi nell'accento posto su un particolare aspetto che, se da un lato ha avuto una funzione di critica ad assunti o a proposizioni per tempo non discusse, da un altro lato ha avuto l'effetto di limitare la teologia entro l'area del genitivo e, pertanto, di rendere il discorso, proprio in base alla natura genitivale di tali teologie, limitato o concluso in una sola linea interpretativa di Dio, dell'uomo e della realtà in generale.
Come già il teologo valdese Subilia, di stampo barthiano, sottolineava con acume quasi profetico, in tutta questa vasta circolazione di teologie è in atto un processo di inquietante inflazione: si tratta di valori nominali che non poggiano più su una coperta aurea. Prova ne sia che in tutto questo pluralismo di teologie manca una teologia: la teologia teologica. Il fatto stesso che si possa usare questa formula è indice della svalutazione dei termini. (V. Subilia, Presenza e assenza di Dio nella coscienza moderna, Torino, 1976).

Alla svalutazione dei termini lamentata dal Subilia, in realtà, corrisponde un paradigma culturale che, sebbene  oggi sia cambiato ulteriormente di forma (usiamo volentieri la felice metafora della liquidità di Bauman) e si sia vestito di post-modernismo, rimane votato a un pluralismo in cui tutti hanno diritto di cittadinanza, a patto che si preservi appunto la pluralità senza in alcun modo parlare di verità ultime (le quali nella migliore delle ipotesi sono viste come fantasie metafisiche, e, nella peggiori delle ipotesi attaccate con violenza e passione dai cosiddetti ben pensanti pluralisti e tolleranti, come un male pericoloso al clima di presunto dialogo, accordo ed equilibrio raggiunto dall'umanità post-moderna).

La vera questione, che pongo innanzitutto a me stesso da molto tempo, è come in tale ambiente culturale, la teologia teologica, possa ancora avere la sua funzione critica. Spesso infatti, e la storia stessa sembrerebbe confermare tale ipotesi, la Chiesa Cristiana in generale, ha perso, insieme alla teologia che proponeva e propone, la sua funzione "polemica" e "critica" nei confronti della società. Teologi di indubbio valore come Jurgen Moltmann, parlano appunto di speranza escatologica come di contraddizione al sistema mondo. Le argomentazioni del teologo tedesco sono affascinanti, profonde e convincenti. Resta però da chiedersi se la cristianizzazione di un principio secolare come il "principio speranza" (Bloch) possa veramente essere un concetto critico e possa rendere un servizio durevole alla Chiesa, o non sia invece l'ennesimo adattamento della teologia allo spirito del tempo. Stessa domanda la si potrebbe porre a molte delle teologie sopra elencate, se non a tutte. E' vero, da un lato non esiste una teologia e un annuncio che non siano frutto di un dialogo con il proprio tempo; una comunicazione efficace si basa sulla conoscenza del linguaggio parlato, della sua semantica, etc.. D'altro canto, da un punto di vista strettamente biblico, rimane pur sempre vero che la parola che il teologo, il predicatore, il semplice credente e la Chiesa in generale annuncia, è la parola di Paolo nell'areopago di Atene (Atti 17; cfr. 1 Cor. 1: 18-25). Una parola che non ha cittadinanza nella polis umana, ma irrompe in essa come annuncio: un annuncio "folle", perchè incentrato su un Messia crocifisso e perchè non fatto di sapienza umana, ma di saggezza divina (confronta il contrasto tra il logos umano e il logos della croce come parola di Dio, nella sezione di 1 Corinzi 1: 18 - 2:5); un annuncio critico, perchè mette in discussione la visione del mondo creata dall'uomo, nelle sue molteplici filosofie, teologie e religioni, e la sottopone al vaglio di una Parola libera che non può essere limitata da genitivi o partizioni di sorta, cioè il discorso di Dio all'uomo.

In questo senso, la teologia per essere veramente teologica, dovrebbe ricatturare la prospettiva paolina e in generale neotestamentaria, affinché si eviti il pericolo già denunciato da Giovanni Calvino, di una chiesa che sia assediata di molte morti.
Sebbene sia difficile dire cosa significhi questa inversione di prospettiva in poche battute, si può per lo meno tentare di dire qualcosa come inizio di un nuovo dialogo, di sapore però antico. Se nell'oggi al Chiesa vuol veramente rendere un servizio al mondo che sia "araldico", cioè di annuncio della salvezza di Dio compiuto in Cristo e della trasformazione della vita nella potenza dello Spirito Santo, essa, per dirla nuovamente con Subilia, deve convertirsi al suo Signore se intende essere di qualche utilità per il mondo, e non viceversa, servire il mondo per essere di qualche utilità a Dio (Ibid.), dimenticando così la sua unica risorsa e il suo unico fondamento.
Tale operazione richiede coraggio e onestà. Significa infatti smontare le partizioni genitivali che hanno influenzato in modo sottile il modo di essere della Chiesa nel mondo, e aprirsi nuovamente a un messaggio folle, come quello appunto della croce, annunciato nella potenza dello Spirito Santo, che mira non a creare cittadini della polis umana, ma mira piuttosto a creare dei coloni: cioè persone che con la loro vita, con le loro opere, azioni, con il loro comportamento non piegato alle esigenze della moderna psicologia, sociologia, economia e quant'altro, vivano qui e ora i valori di un Regno già presente e che sarà consumato pienamente al ritorno di Cristo.
In definitiva, c'è da chiedersi una domanda forse inizialmente inquietante, ma decisiva se si vuole veramente tornare a una teologia teologica e a un annuncio che sia propriamente discorso di Dio all'uomo: il Dio oggi predicato, quello delle etiche liberali, quello degli accomodamenti sociologici, quello ridimensionato da antropologie vestite da teologia, è ancora il Dio della Rivelazione biblica, o è un idolo a cui si presta religiosamente un culto, ma ridotto a feticcio muto e non pericoloso per l'uomo stesso?
Dalla risposta a  questa domanda, credo, dipenda molto del futuro della Chiesa.

sabato 4 gennaio 2014

Alternative - L'immagine del tempio nella Prima epistola ai Corinzi



L'immagine del tempio, per esprimere sia a livello collettivo, potremmo dire ecclesiastico (cioè come chiesa locale, e più genericamente come Chiesa) sia a livello personale, il luogo di residenza attuale dello Spirito Santo (rifacendosi così al concetto di "shakan/shekinah" dell'Antico Testamento; si pensi al tabernacolo prima nella teologia del pentateuco, e al primo e secondo tempio, specialmente in relazione alla profezia di Isaia, Geremia ed Ezechiele; si pensi anche alle singole persone delle quali è detto che ricevettero particolari capacità attraverso la presenza dello Spirito Santo come coloro che presiedettero alla realizzazione del tabernacolo o ad alcuni Giudici dell'omonimo libro), è utilizzata da Paolo in quattro passi specifici:


  • 1 Corinzi 3: 16-17;
  • 2 Corinzi 6: 16;
  • Efesini 2: 22;
  • 1 Corinzi 6: 19-20.
Per motivi di spazio e di concentrazione del discorso, mi focalizzerò soltanto sui due passi tratti dalla prima ai Corinzi.

A livello collettivo, Paolo, a seguito di una sezione della lettera dedicata a controbattere alcuni problemi sorti nella chiesa di Corinto intorno ad alcune figure di spicco (Paolo, Apollo, Cefa, etc...) e intorno a un mal compreso concetto di conoscenza/sapienza  (entrambe cose che andavano a contrastare il messaggio della Croce come potenza di Dio e al contempo follia per la saggezza del mondo), con il passo di 1 Corinzi 3: 16-17, ricorda che "siete il tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi. Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Infatti, Santo è il tempio di Dio che siete voi".

A livello individuale, Paolo, a seguito di una sezione dedicata a combattere alcuni comportamenti libertini che alcuni nella chiesa di Corinto stavano adottando a seguito di una mancata comprensione della libertà cristiana e della visione antropologica rinnovata che la salvezza in Cristo introduce (riassunti negli slogan dei Corinzi "tutto mi è lecito" o "I cibi sono per il ventre e il ventre per i cibi!"), scrive: "O non sapete che il vostro corpo è il tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio, e che non appartenete a voi stessi? Infatti siete stati comprati a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro corpo. (I Corinzi 6: 19-20).

In entrambi i casi, l'immagine del tempio serve a sottolineare, fra le altre cose,  come il Tempio di Dio (a livello collettivo la chiesa dei Corinti in Corinto, a livello individuale il singolo Cristiano con la sua vita) sia in alternativa ai molti templi presenti a Corinto e, dunque, più in generale alla società contemporanea ai Corinzi.

L'alternativa è rappresentata nuovamente sui due livelli:


  • Come chiesa locale, definita nello spazio geografico della metropoli di Corinto, i Cristiani della chiesa dovevano ricordare che ciò su cui si basa la chiesa di Dio è l'annuncio del Vangelo, come parola al contempo saggia e folle. Saggia perchè fondata sulla sapienza di Dio che lo Spirito Santo, mente di Dio, rivela nella predicazione. Folle perchè centrata sul Messia crocifisso, scandalo per il mondo. Tale messaggio non è come la sapienza dei "dominatori di questo mondo", ma è una saggezza diversa, che si esprime nella croce stessa, nel messaggio del vangelo, che Paolo altrove definisce, in modo paradossale per gli uditori del suo tempo, "potenza di Dio per chiunque crede" (Romani 1: 16). Inoltre i Cristiani di Corinto, dovevano ricordare che la Chiesa stessa si fonda non sulla faziosità intorno a leader, o in correnti partitiche, ma si fonda sulla presenza di Dio come Signore della Chiesa, il quale, presente nello Spirito Santo, dota la chiesa stessa di doni (carismi) in vista della reciproca edificazione dell'edificio spirituale, non nella sua distruzione. Essere tempio come chiesa, significava come Cristiani in alternativa alla società, essere persone che percorrevano la via per eccellenza, quella dell'amore e del riconoscere la signora di Cristo sulla chiesa (cfr. 1 Corinzi 13).
  • Come individui, viventi in una contesto metropolitano e ampio, essere tempio dello Spirito Santo, e ricordare che il corpo appartiene a Colui che lo ha riscattato a caro prezzo, significava, evitare il compromesso con la mentalità della città stessa: pratica comune era quella della prostituzione sacra  (alcuni autori antichi parlavano di "corinzianeggiare", ovvero comportarsi in modo libertino e immorale) e in generale della promiscuità sessuale, in nome di tendenze dualistiche per cui ciò che si fa con il corpo non tocca la parte spirituale dell'uomo. Essere alternativa, significava quindi evitare la promiscuità sessuale, l'incestuosità, il libertinaggio, e, oltre a ciò, significava smettere di comportarsi come "in precedenza". Paolo proprio all'inizio della pericope di 1 Corinzi 6: 12- 20, ricorda, come "Queste cose [immorali, idolàtri, adùlteri, effeminati, sodomiti, ladri,  avari, ubriaconi, maldicenti, rapaci; 1 Cor. 6: 9-10] eravate alcuni di voi, ma siete stati lavati, ma siete stati santificati, ma siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio! (I Cor. 6: 12). Ovvero: in precedenza la vostra condotta era tale; ciò che Cristo ha compiuto sulla croce con la sua morte, risurrezione e ascensione e ciò che lo Spirito di Dio ora compie in voi come attualizzazione dell'opera della croce nelle vostre vite, rappresenta (nuovamente) un'alternativa al modo di vivere corinzio. L'enfasi, come già Paolo specifica all'inizio della lettera, è sulla santificazione, ovvero quel processo attraverso cui Dio impartisce e forma il carattere di Cristo nella persona credente, attraverso l'opera dello Spirito Santo. 


In conclusione: sebbene questa sia una veloce panoramica non esaustiva, ciò che si può desumere nell'utilizzo di questa metafora del tempio, sia a livello collettivo che individuale, è come essa, nella teologia paolina della lettera ai Corinzi, sia un invito a "diventare ciò che siete in Cristo". Essere Cristiani, per Paolo è dunque una questione di fede certamente, ma anche di trasformazione: come ripeterà più tardi ai turbolenti fratelli e sorelle della chiesa di Corinto, 
se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove. 
(2  Corinzi 5: 17).


domenica 29 dicembre 2013

Una parola di benvenuto


Gentili lettrici e lettori (ammesso che ve ne possano essere)
benvenuti in questo blog.
L'intento è quello molto semplice di condividere alcune riflessioni in itinere, frutto delle
mie ricerche e dei miei studi nell'ambito dell'esegesi biblica e della teologia.
Sono poche le pretese di assolutezza o di novità: in realtà, proprio per il loro carattere
di riflessioni in cammino, esse saranno il diario di esplorazione di un viaggio.

Con questo in mente, pian piano le pagine si riempiranno di contributi.